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La vista interiore

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Messaggio Da Luciano Mess Mar 04 Ott 2011, 2:58 pm

Ci sono mille modi di guardare, uno solo di vedere. Tutto ciò che lo sguardo abbraccia, è una cornice, a volte brutta, altre bella, altre addirittura dorata, ma pur sempre una cornice. Il dipinto non è visibile, soverchiato da ciò che lo circoscrive; si può ben dire che la "realtà", che non è affatto la totalità, è creata per i sensi grezzi, e, la mente che li presiede, ne è attratta come una mosca è attratta da una bovazza. Un ladro che fosse schiavo dei sensi, si recherebbe al louvre e ruberebbe tutte le magnifiche cornici, lasciando lì quelli che a lui sembrerebbero solo degli scarabocchi colorati. Non c'è colpa nel guardare l'evidente, è solo una condizione ed in quanto tale è sensata a patto di risultare transitoria. Per esemplificare, diciamo che se guido l'automobile, sono attratto dalla strada e questo è un bene perchè mi impedisce di spalmare sul selciato tutti i pedoni che incontro ma mi impedisce anche di dedicare attenzione al panorama o ai monumenti, tutto bene, anzi, benissimo, l'importante però, è che questa spasmodica attenzione NON mi segua quando scendo dal mezzo perchè mi impedirebbe di vedere tutto ciò che non è strada, traffico o pedoni. Non è difficile capire che l'automobile è una cosa utile, perchè permette di raggiungere luoghi altrimenti inarrivabili e val bene la pena, occasionalmente, di sacrificare una visione ampia per il tempo strettamente necessario al compimento del viaggio; guai però ad affezionarcisi a tal punto da usarla anche per fare due metri, altrimenti la vita inizia e finisce dentro l'automobile.

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Messaggio Da Luciano Mess Lun 10 Ott 2011, 2:53 pm

Per iniziare a vedere il dipinto, è evidente che occorra prima distogliere l'attenzione dalla cornice e questo è, almeno inizialmente, un'impresa piuttosto ardua; le cornici, infatti, hanno la pessima abitudine di suscitare nell'osservatore un desiderio di possesso o di ripulsa ed in entrambi i casi, riempiono l'intero orizzonte dell'osservatore.
Il primo passo per cambiare registro è lo sviluppo della visione acritica e spersonalizzata, osservare cioè, in terza persona lasciando sopita la brama. Le prime volte, più che vedere il dipinto, si avrà una sensazione di distacco dalla realtà, una perdita di poesia della stessa ed un senso di tristezza, legato alla perdità di quella che potremmo definire "magia di vivere". Lo stato di semicatatonia che ne segue, non và vissuto in chiave negativa, anzi, è propedeutico allo sviluppo della vera visione.
Naturalmente, lo stesso concetto di "vedere", qui assume valore assolutamente relativo, perchè ben poco ha a che spartire con gli occhi, piuttosto coinvolge il quarto chakra (quello del cuore) ed il sesto (terzo occhio) che uniti, evocano impressioni, moti d'animo ed intuizioni. La somma di tutto questo, viene decodificata dalla nostra cocuzza come "visione".
Non esiste un soggetto sul quale puntare l'attenzione per ottenere questo stato, anzi, uno sguardo spento ed "ebete", fa si che ciò che deve essere visto, si presenti spontaneamente all'osservazione e calamiti l'attenzione in modo assolutamente automatico.

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Messaggio Da Luciano Mess Gio 20 Ott 2011, 9:46 am

Usare la vista interiore assomiglia un pochino all'uso della visione periferica in modo sistematico: si colgono particolari e scorci di immagine altrimenti negati.
L'obiettivo naturalmente non è quello di sostituire la visione tradizionale con quella interiore ma piuttosto di integrarle, ampliando la prima oltre i limiti comunemente accettati.
La visione che si ottiene, risultando molto più nitida e ricca di contenuti, permette l'insorgere della serenità nel vedere, cosa assolutamente impossibile utilizzando semplicemente gli occhi, perchè l'incompletezza di informazione crea nell'osservatore tensine, irrequietezza ed insoddisfazione anche se di norma non ne è affatto conscio, d'altronde è piuttosto scontato che l'ottenimento di informazioni parziali, più che appagare, generi il desiderio di ottenerne altre e poi altre ancora, insegundo l'utopico obiettivo di ottenere un quadro compiuto. La continua ricerca di compiutezza mediante quadri parziali, non porta però al completamento di un puzzle, perchè vi sono alcune tessere che proprio non possono essere viste con il semplice sgurdo ed lla fine ci si deve acccntentare di un puzzle contenente più buchi di un groviera. Esiste naturalmnte una qualche sensazione sottopelle che sente la mancanza di queste tessere invisibili ma non riuscendo a superare l'impasse, di norma ci si limita a negarne semplicemente l'esistenza o si crede che mai si potrà saperne n ulla a causa dei limiti della condizione umana e per placare la sete di conoscenza, si ingolla l'amaro boccone della fede.
I limiti umani, altro non sono che quei limiti che l'uomo stesso si impone, per pigrizia, paura, insano senso di inadeguaezza, eppure, l'uomo ha dimostrato e dimostra un coraggio leonino nel perseguire la conoscenza attraverso i sensi ordinari, strano dunque risulta che non usi la stessa determinazione per affinare lo strumento di indagine a sua disposizione, ovvero: se stesso.
"Io ti vedo" oppure "ci vediamo" o ancora "ci siamo visti", sono espressioni ultracomuni del quotidiano: ci siamo però mai chiesti cosa diavolo vogliano davvero dire? Uscendo dall'automatismo della comunicazione e riflettndoci per bene, salta all'occhio (giusto per rimanere in tema), che di fatto, l'averti "visto", null'altro significa che: ho percepito la tua forma esterna, il colore e taglio dei tuoi capelli, degli abiti ed accessori e niente altro, eppure, non posso certo affermare che questo scarno e squallido elenco di caratteristiche, sia in grado di descriverti davvero. Cosa dunque mi sono perso? Beh... quasi tutto, direi, in parte avrei potuto sopperire, aggiungendo qualche altro senso alla semplice vista, in questo modo il mio naso, avrebbe potuto scoprire se sei una persona che ci tiene alla cura dell'igine personale, un rapido scambio di battute mi avrebbe fornito informazioni sulla tua cultura e sul tuo stato d'animo. Certo, tutte cose interessantissime, ma non in grado di soddisfare l'esigenza del vero "vedere". La tua essenza, il tuo diciamo "motore", mi è sfuggito completamente, dunque, per onestà intelletuale, dovrei correggere il tiro in questo modo: "ho visto la tua forma esteriore", ovvero, ho scoperto la tua macchina, ma nulla ho potuto capire del passeggero, a causa dei vetri...fumee.
L'attrazione che i sensi provano per l'energia a bassa vibrazione, è potente, e l'inevitabile rumore di fondo che l'accompagna, è tale da soverchiare ogni altra cosa. Non che io abbia nulla contro le attrazioni, quali che siano, ciò che decisamente mi piace poco è la loro tendenza ad impedire l'accesso a tutto il resto. Giustissimo quindi lasciarsi trascinare di qua e di là, ma solo dopo aver sviluppato la vista interiore, i modo che le varie sperimentazioni, siano sempre frutto di una scelta consapevole e non già di una assenza di scelta.
Rammentate le vecchie radio a valvole che operavano sulle onde lunghe? Il segnale era bello potente, ma le distorsioni e le rifrazini della ionosfera, creavano quello strano effetto che faceva sembrare le voci o la musica, ora in avvicinamento ed ora in allontanamento e per capirci qualcosa, occorreva mantenere un religioso silenzio e un'attenzione assoluta, ecco, questo è quello che occorre per non confondere l'onda portante rumorosa dal messaggio che veicola. Allontanare l'attenzione dalle fonti di disturbo, accogliere l'assordante silenzio e poi lasciare emergere il contenuto.
Molti artisti del passato, che decismente di esoterismo ne masticavano parecchio, solevano nascondere volti o lettere nelle velature dei dipinti, in modo da renderle visibili solo a coloro che erano pronti a capirne il significato, mentre risultavano invisibili, pur avendoli sotto al naso, a tutti gli altri osservatori, troppo attratti dalle tinte forti e dai tratti marcati, per sentirsi in dovere d osservare ad esempio uno strato di foscha o delle nubi leggere.
Imparare a vedere, imparare a farlo mantenendo il silenzio interiore e l'attenzione desta, rappresenta una grandissima vittoria dell'anima ed anche di colui che la porta a spasso.
Non esiste mistero, non esistono veti o limiti di nessun genere per chi decide di vedere dove muove i suoi passi; nulla e nessuno si oppone a questo modo consapevole di agire, vivere, sperimentare.
L'unico ostacolo che lo sperimentatore trova a sbarrargli il cammino è lui stesso ed i rassicuranti limiti entro i quali si trincera.
Voler vedere senza timore per ciò che si vedrà, questa è la base, nulla è brutto o addirittura terrificante, tranne l'idea che è alla base di questo fastidioso pensiero.
Ci sono diversi modi di dire d'uso popolare che ben descrivono ciò che ho appena affermato: "non voler vedere", "chiudere gli occhi", "volgere altrove lo sguardo", ne sono solo alcuni esempi, ciò che però li accomuna tutti è il senso di pavidità e di resa.

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Messaggio Da Luciano Mess Gio 20 Ott 2011, 1:28 pm

Per dirla pane al pane e nutella alla nutella, la nostra vista interiore è simile ad una perfetta macchina fotografica, peccato che quando la usiamo...dimentichiamo di togliere il tappo di protezione dall'obiettivo.
Il tappo, come è intuibile, è formato dall'insieme di desideri, frustrazioni, sofferenze, gioie... In una parola, dal giudizio, ovvero dal non saper accettare la "realtà" per quello che è. Prima di negare con forza questa mia asserzione, provate un pochino a soffermarvi sul modo in cui a tutt'oggi vi illudete di vedere, noterete immediatamente (se siete onesti con voi stessi), che mentre guardate, immediatamente giudicate e questo determina la vostra attrazione o repulsione verso l'osservato, mandando a puttane l'obiettività; una BELLA ragazza vi passa davanti sculettando, peccato che abbia il seno troppo PICCOLO per essere perfetta o abbia i capelli corvini mentre vi PIACCIONO davvero tanto quelli rossi, e, come non bastasse, ha un BRUTTO carattere, i tacchi a spillo che porta sono davvero TROPPO alti, peccato, peccato davvero, perchè il resto del panorama era divino, oddio...un pelino PIU' di caldo non avrebbe guastato, qualche albero in MENO non avrebbe limitato lo sguardo e forse sarebbe stato meglio anche se non ci fossero state in volo alcune ANTIPATICHE zanzare.
Avete guardato una ragazza in mezzo alla natura, ma avete VISTO, soltanto la cornice, alias: i vostri preconcetti, alias: il vostro ego, alias: i vostri limiti.
La cornice siete voi stessi, mentre il dipinto è l'infinito, ossia, sempre voi stessi ma non avendone coscienza, è come fosse un'entità astratta e ben scissa.
Un piccolo trucchetto in voga tra gli sciamani, è il costringere le proprie "vittime" a guardare ciò che li circonda esaltando la parte "oscura" della visione, ad esempio, costringendole ad osservare la pagina inferiore delle foglie, a ricercare il bello in un'ortica mediante attenta osservazione dei particolari ed il brutto di una rosa mediante lo stesso procedimento. Obbligare la vista a puntare solo sul secondo o terzo piano degli edifici e non solo sul pianterreno come d'abitudine, guardare tutto in chi si incontra lasciando per ultimo il volto e così via. Sembrerebbe una perdita di tempo, ma vi assicuro che non lo è.
Il risultato finale, con un pochino di pratica e di costanza, sarà che tutto inizierà ad apparire bellissimo, ma non inteso come caratteristica opposta al brutto, bensì come riconoscimento di un riflesso dell'infinito ed in quanto tale, bello da far male, perchè assolutamente perfetto nella sua unicità.
Tutto è meraviglioso, facciamo in modo che lo siano anche gli occhi che lo devono vedere.



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Messaggio Da Luciano Mess Gio 20 Ott 2011, 1:41 pm

Ciò che rende infinitamente stupido e limitativo il giudizio, è il puerile tentativo di paragonare un qualcosa di assolutamente unico ed irripetibile, con qualcos'altro, basandosi sulla stramba considerazione che entrambi hanno un qualche tratto mostrante una certa somiglianza, così, pur essendo in grado di capire che paragonare un ravanello ad una giraffa è cosa sciocca, si continuano a paragonare due ravanelli o due giraffe, solo perchè SEMBRANO identici. Ciò che di assolutamente identificante c'è, è solo l'archetipo, ovvero l'immagine preconcetta che abbiamo nel grullaio per descrivere ogni cosa, attraverso un meccanismo, appunto, archetipico. Se ti guardo e ti giudico, vuol dire che non ti sto vedendo, perchè se davvero ti vedessi, mi limiterei ad imparare qualcosa di te e da te, attraverso la mia visione e non già a proiettarti addosso la parte più scema di me, annullando di fatto tutta l'utilità dell'averti incontrato.
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